Opinione
L'opinione - Capaccio-Paestum, con il nome facciamone una città!
Aurelio Di Matteo
06 novembre 2012 07:54
Eye
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L’atto d’indirizzo con il quale il Sindaco Voza ha accompagnato la decisione di modificare il nome del Comune di Capaccio in quello di Capaccio-Paestum merita la dovuta attenzione sia per la rilevanza strategica dell’obiettivo sia per la connessa conseguenza sulla pianificazione urbanistica. Meglio tardi che mai! Dell’importanza di un tale atto, è consapevole lo stesso Sindaco quando, con apprezzabile autocritica, estensibile a tutta la classe politica locale che si è avvicendata nel tempo, riconosce: “Come spesso accade, le istituzioni per fatti di notevole importanza arrivano sempre in ritardo agli appuntamenti con la storia”. Avevamo visto giusto, dando rilievo alla sua iniziale proposta di cambiare il nome di Capaccio-Scalo, che il vero obiettivo non doveva essere parziale ma estendersi a un progetto che avrebbe interessato l’intero territorio. La pianificazione urbanistica non poteva non essere al centro di un’Amministrazione nata, almeno nel programma, con il proposito di porre fine a decenni di sonnolenza e “sistemazione” di piccoli (o grossi) vantaggi particolari. Di certo non si può escludere che anche in questa, per accidens o per substantia, ci sia qualche obiettivo settoriale come inevitabilmente avviene in tutte le amministrazioni locali. Importante è che esso sia ricompreso in un disegno complessivo rivolto all’interesse generale. Chi si oppone o chi sospetta su alcuni interventi annunciati dal Sindaco, pertanto, non sia choosey per principio e non riduca sempre ogni cosa a un misero tornaconto settoriale. Checchè ne dica il miope leghismo sentimentale e il provincialismo d’improvvisati storici settari, come avevamo evidenziato in precedenti interventi, il problema del nome diventa propedeutico e fondamentale per cercare e dare un’identità al territorio. Oggi non è concepibile sviluppo economico, soprattutto se si vogliono promuovere le condizioni relative che lo rendono possibile, senza esaltare e potenziare la res tipica di un territorio, la quale può evvenire soltanto all’interno di un’organica azione rivolta a dare identità complessiva e integrata a tutti gli elementi, materiali e immateriali, che la connotano. Giustamente il Sindaco ha portato il discorso sul PUC, perché è lì il luogo e la premessa giuridica per trasformare la questione del nome in strumento concreto per interventi rivolti a dare un assetto di Città organica, connotata da un tessuto socio-urbanistico connesso, in modo che l’identità sia lo spazio di adeguata vivibilità per i residenti e la condizione di sostenibilità per uno sviluppo turistico durevole. Ciò è in linea con la mia insistenza su un progetto di Pianificazione territoriale, pubblicato lo scorso anno dalla Rivista di Scienze del Turismo, in cui, denominandolo già con il nome di Capaccio-Paestum, oggi deliberato dalla Giunta, definivo l’interio territorio “La Città dei venti Borghi”, come idea complessiva di una città multipolare in cui ogni borgo si senta e sia valorizzato come centro e ogni centro sia visto come borgo con la sua identità costituita dalla tipicità della sua storia antica o recente. Quel progetto ha come obiettivo un’identità storica visibile, che nel richiamo storico antico, ben noto nei cinque Continenti, possa rappresentare un attrattore concreto, spazialmente definito, adeguato alle nuove forme di turismo. Oggi la competitività del sistema turistico si realizza con nuovi strumenti, a cominciare da un diverso marketing che abbandoni la valorizzazione dell’”oggetto” muto (la cartolina per il turismo e il prodotto base per l’agricoltura) e valorizzi la peculiarità del territorio, la sua identità culturale, antropologica e naturale, per dare un’immagine tipica e accattivante come prodotto ricco di significazione umana. È ora che si assuma come strategia non soltanto la cartolina dei Templi nel loro isolamento, ma il Territorio inteso non come sfondo all’immagine del prodotto, ma come sistema integrato di relazioni materiali e immateriali, come un insieme antropologicamente identificato, reso sempre più attrattivo, adeguato nei servizi e multifunzionale negli obiettivi. La condizione è che il processo d’identificazione e di pianificazione non si risolva in un processo di nuova edificazione e infrastrutturazione tradizionale: edifici, strade e piazze. Ce ne sono già fin troppe e quasi tutte degradate o abbandonate! Sia, invece, un’articolazione di interventi che nel lungo periodo costituirebbe un complessivo intervento rivolto ad ammagliare una city beach (Laura), una city culturale (Area archeologica e dintorni),  una city urbana (Capaccio scalo o Nuova Poseidonia), un Centro storico medioevale, i caratteristici Borghi della Riforma. In tal modo si salderebbe l’attuale frattura funzionale tra la “spiaggia”, la “città antica”, la “collina”, con il suo bellissimo centro storico, e l’area “rustica” con la ricchezza paesaggistica, architettonica e antropologica. L’ammagliatura dovrebbe essere costituita non da strade e edifici per civili abitazioni, come nella proposta del prof Forte, ma da strutture e dai cosiddetti “non luoghi” che fungano da ottimi attrattori e consentano al cittadino di esprimersi e di comunicare, di lavorare e di divertirsi, di fare sport e di fare cultura; strutture di connessione urbana per consentire la socializzazione e la vita civile nella loro complessità, luoghi di attività culturali e scolastiche, di spettacoli e di eventi congressuali, di grandi aree fieristiche, museali, sportive, di parchi tematici e di itinerari ambientali, opportunamente inseriti nelle preesistenze e nelle identità consolidate. In tale complessiva ridefinizione l’anomia e la dispersione attuali si tarsformerebbero in tessuto sociale organico, strutturalmente connesso e con storica identità riconoscibile in campo internazionale.



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