Attualità
DEUS EX MACHINA DELL’HOLDING DEL RICICLAGGIO
DEUS EX MACHINA DELL’HOLDING DEL RICICLAGGIO
Varese, operazione “Conti Puliti”: in manette Filippo Dollfus De Volckesberg
Comunicato Stampa
04 maggio 2015 15:35
Eye
  2304

VARESE. I militari della Compagnia della Guardia di Finanza di Busto Arsizio, nei giorni scorsi, hanno fermato, a Milano, il noto finanziere svizzero Barone Filippo Dollfus De Volckesbersg, indagato per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio transnazionale, nell’ambito di un’articolata e complessa indagine, coordinata dal Sostituto Procuratore - dr. Roberto Pellicano - della Procura della Repubblica di Milano. Dollfuss, uomo ombra dell’alta finanza internazionale noto da tempo alle cronache giudiziarie italiane è accusato di essere a capo di una fitta e proteiforme organizzazione criminale e di aver provveduto nel corso degli ultimi decenni, dal suo quartier generale di Lugano, attraverso un articolato e ben collaudato sistema, ad assistere la propria facoltosa e selezionata clientela italiana, nel trasferire all’estero ed occultare ingentissime somme di denaro che, nella gran parte dei casi, si sospetta essere frutto di delitti di appropriazione indebita, evasione fiscale, corruzione o riciclaggio perpetrati in territorio italiano. Filippo Dollfus, con la collaborazione di Gabriele Bravi, commercialista milanese arrestato nel marzo 2013 nel corso della stessa indagine, provvedeva a: individuare e contattare clienti italiani (per lo più società di capitali e professionisti) interessati a trasferire all’estero ed occultare denaro o utilità; costituire società in paesi esteri, (soprattutto Olanda, Lussemburgo e Svizzera) che svolgevano il ruolo di società di partecipazione delle attività finanziarie dei clienti, organismi a volte in rapporti diretti con le società italiane dei clienti, e quasi sempre, compartecipate da società fiduciarie italiane; assicurare il deposito delle utilità e del denaro, opportunamente schermato, presso banche situate per lo più in Svizzera intestati a strutture/società anonime (cc.dd. casseforti) dedicate a singoli clienti, (formalmente o di fatto dirette da BRAVI e DOLLFUS) necessariamente collocate in paesi cc.dd. off shore (Panama, Isole Vergini, Antille olandesi, Jersey, Madeira, Liberia ecc.), utilizzate al fine di garantire l’anonimato del titolare effettivo e l’impossibilità di ricostruire il movimento degli affari ed il patrimonio data la mancanza in detti paesi dell’obbligo di tenuta della contabilità; instaurare rapporti bancari direttamente gestiti dalla organizzazione, a loro volta intestati a società con sede off shore (cc.dd. conti calderone o di mero transito), presso banche per lo più svizzere, attraverso i quali venivano operati i trasferimenti finanziari intermedi dalle strutture cassaforte a quelli finali, in modo da confondere la identità e la natura delle operazioni di trasferimento del denaro e dunque da rendere impossibile la individuazione della loro provenienza; garantire, coordinare e dare esecuzione alla complessa attività finora descritta (es. confezionamento materiale dei documenti, direttive a terzi per le modalità della loro redazione, tenuta della contabilità e rendicontazione, invio, esecuzione ordini di trasferimento bancario (bonifici e prelevamenti), consegna di denaro contante, calcolo dei compensi dovuti a tutte le organizzazioni e professionisti di supporto ivi compresa quella dell’associazione a delinquere, ecc.). Tali attività venivano principalmente svolte attraverso il personale della società anonima di Lugano gestita da Dollfus, ed in parte negli uffici della propria succursale milanese. La prima fase dell’indagine ha avuto origine da una segnalazione per operazione sospetta nei confronti di un cittadino di Busto Arsizio, poi risultato essere un componente dell’associazione. Le indagini da qui avviate hanno consentito di individuare il primo episodio di riciclaggio operato dal Bravi per conto di Rita Rovelli, con riferimento alle cospicue attività finanziarie provenienti dal Fondo DALAN, costituito con la provvista della corruzione relativa al noto caso IMI-SIR. Per questo fatto era stata emessa una misura cautelare a carico di Bravi, a seguito del suo fermo disposto dalla Procura di Milano, ed eseguito nel marzo del 2013. Le successive attività d’indagine, in Italia e all’estero, portavano al sequestro di una grande quantità di documentazione amministrativa; è stata necessaria una laboriosissima analisi tecnica della documentazione per svelare lo scenario di un fenomeno di riciclaggio di straordinaria complessità e dimensione, richiedente, appunto, una stabile e sofisticata organizzazione a carattere professionale e transnazionale. Il nucleo principale della holding imprenditoriale-criminale è risultato essere costituito da una decina di soggetti, alcuni dei quali titolari di studi professionali, mentre il numero degli indagati aumenta, parallelamente al prosieguo delle indagini. L’attività di analisi dei documenti sequestrati, relativi alle operazioni finanziarie, operata anche con l’ausilio di un consulente tecnico, ha consentito, allo stato, di identificare 65 fra persone fisiche e giuridiche titolari di rapporti bancari a vario titolo che hanno operato complessivamente con 115 conti bancari in 12 diverse banche di cui 1 italiana e 11 estere. Sono state mappate quindi 421 persone fisiche e giuridiche italiane ed estere che hanno avuto rapporti con l’organizzazione. Il volume accertato dei movimenti finanziari dell’organizzazione, che rappresenta solo una minima parte di quello effettivo, attualmente ammonta a circa 800 milioni di euro, nei pochi anni di cui ai prospetti individuati. Ma se queste operazioni finanziarie si rapportassero alla completa entità dei conti trattati dall'organizzazione ed al periodo molto ampio di operatività dell'organizzazione stessa, circa 40 anni, probabilmente si raggiungerebbero somme stratosferiche nell'ordine di molti miliardi di euro. Come evidenziato nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. di Milano Dr. Cantù Rajnoldi, a seguito della convalida del fermo, il Dollfus negli ultimi due anni (in stretta dipendenza, non solo cronologica, col fermo del Bravi) ha evitato, con cura e circospezione, l’ingresso nel territorio italiano con la esplicita finalità di sottrarsi alla giurisdizione italiana. Il fermo veniva eseguito prima che il Dollfus potesse fare rientro nella sicura Svizzera. Dopo il provvedimento cautelare, i finanzieri di Busto Arsizio hanno eseguito diverse perquisizioni, presso una serie di studi di commercialisti tra Roma e Milano, risultati collegati attivamente all’organizzazione sottoposta ad indagini; perquisizioni che hanno permesso di sequestrare ulteriore documentazione utile alle indagini. L’indagine perciò non è certo conclusa ed anzi prospetta la individuazione di nuovi nominativi sia sul fronte della clientela italiana, sia su quello degli uffici sempre italiani che prestavano collaborazione più o meno stabilmente all’organizzazione. La vastità e rilevanza di questa associazione a delinquere appare di portata impressionante; una vera e propria multinazionale del riciclaggio innestata nel sistema produttivo italiano ed in grado di “sommergere” grandi ricchezze.



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