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Albanella, crac ‘Nuova Contadina’: licenziata perché incinta, vuole stipendi persi per il fallimento
Alfonso Stile
06 novembre 2017 16:13
Eye
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ALBANELLA. Sei, come i componenti del Cda coinvolti. Sette, come i milioni di euro di debiti. Otto, come il suffisso della società Aminea, il cui fallimento ha causato, di fatto, la chiusura del caseificio ‘La Nuova Contadina’ di Albanella. Per un curioso scherzo del destino, sei più sette più otto fa 21, come le migliaia di euro che Palmina Agriesti (nella foto) vuole dagli ex proprietari accusati del crac, per i quali il pm Francesco Rotondo della Procura della Repubblica di Salerno ha chiesto il processo per bancarotta fraudolenta.
Richiesta sulla quale, a breve, dovrà esprimersi il gup Renata Sessa del Tribunale di Salerno: in caso di rinvio a giudizio, la Agriesti preannuncia la costituzione di parte civile, così come decine di altri operai e creditori rimasti a mani vuote a causa del fallimento del caseificio. Ma chi è questa donna che pretende 21mila euro?

DAL POSTO SICURO ALL’INCUBO
Palmina Agriesti ha 46 anni, vive a Capaccio Paestum e per circa 30 mesi ha lavorato presso l’ex caseificio di Matinella. Quando fu assunta nel 2002, firmando un contratto a tempo indeterminato dopo tanti lavori saltuari, per lei si avverò il sogno di una vita. Il proprietario era Roberto Di Masi, all’epoca noto come un imprenditore facoltoso, rampante e da anni nel settore: insomma una ‘garanzia’ anche per Palmina, alla quale bastavano i 600 euro in busta paga al mese che intascava, regolarmente, occupandosi d’insaccare i prodotti caseari.
“Una sicurezza economica che durò poco più di un anno, ovvero fino a quando mi accorsi di essere incinta – racconta a StileTV – era il mese di dicembre del 2003, la notizia di aspettare una bimba mi rese felicissima ed andavo lo stesso a lavoro, ma quando il peso del pancione iniziò a sentirsi ed il medico mi consigliò di evitare affaticamenti, cominciò il mio incubo…”.

“SEI INCINTA? ALLORA PULISCI E SCARICA I FURGONI”
“Quando comunicai la gravidanza, infatti, l’atteggiamento dei proprietari nei miei confronti cambiò totalmente - spiega Palmina scossa ancora oggi - innanzitutto, gli stipendi iniziarono a non essere più puntuali; inoltre, con modi scontrosi mi ordinavano di fare anche pulizie o scaricare furgoni con orari massacranti nonostante il pancione, giustificandosi con esigenze dovute all’aumento della produzione… in pratica, volevano mandarmi via prima che partorissi”.
Palmina però tenne duro e nonostante continui dispetti e rimproveri, al sesto mese ottenne la maternità, dando alla luce una splendida bambina. Ma col passare del tempo, aumentavano anche gli stipendi arretrati: “Mi davano solo acconti apposta, volevano farmi stancare e dimettere, ma ritornai a lavoro quando mia figlia aveva 9 mesi, sperando che le cose si sarebbero aggiustate, invece trovai l’inferno”.

IL CROLLO
A quel punto, gli atteggiamenti ostili iniziarono a tradursi in note disciplinari: “Una volta mi arrivò una raccomandata in cui mi contestavano un minuto di ritardo”, ricorda. Una sommatoria d’infrazioni sufficiente ai datori di lavoro per motivarne il licenziamento, ma grazie al suo avvocato Palmina ottenne il reintegro immediato sul posto di lavoro.
“Questo rappresentò un affronto enorme, perché avevo osato sfidarli e denunciato il mobbing subito - spiega Palmina - e visto come mi avevano trattato, chiesi di ottenere subito tutti gli arretrati”.
Infatti, le vessazioni aumentarono culminando con l’esclusione dalla foto-ricordo per il calendario di Natale che veniva regalato ai clienti: “Fecero preparare tutto il personale tranne me, fu una cosa troppo umiliante… piansi per giorni ma tirai avanti perché ero una ragazza madre e mi spaventava l’idea di finire in mezzo a una strada con una bimba così piccola”.
Palmina crolla la notte del 4 marzo del 2005, la sesta consecutiva in cui le avevano imposto il suo nuovo turno di lavoro, dalle 21.00 alle 4.00: un orario ‘punitivo’, durante il quale era tutta sola nel caseificio “perché dovevo essere d’esempio agli altri, per far capire cosa succedeva a chi si metteva contro i padroni - sussurra con le lacrime agli occhi – infatti i colleghi guardavano, sapevano, ma nessuno mi difendeva temendo di fare la stessa fine e di perdere il lavoro”.
Il testo della raccomandata che spedisce il mattino dopo è eloquente: “Impossibilitata a continuare rapporto di lavoro causa vostro comportamento vessatorio e inadempiente, confermato con vostro atteggiamento violento ed arbitrario. Seguirà missiva rappresentante mie ragioni”.
Alla fine, 21mila euro tra arretrati, tfr, spese legali e danni morali è la cifra che gli avvocati concordano: ma di quei soldi Palmina non ha visto un solo centesimo. Ora li vuole tutti, poco importa da chi e tutto il tempo che è passato: “In caso di rinvio a giudizio, mi costituirò parte civile; lo faccio per mia figlia, che oggi ha 14 anni, e per tutte le donne costrette a subire, in silenzio, quello che ho subito io”.



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