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SENTENZA DELLA CASSAZIONE
SENTENZA DELLA CASSAZIONE
Agropoli, abusò di baby calciatrici: condanna definitiva per l'allenatore-orco
Redazione
08 dicembre 2018 09:16
Eye
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AGROPOLI. Si aprono le porte del carcere per Gennaro Russo (nella foto), 58enne residente ad Agropoli ed ex allenatore della Salernitana Magna Graecia, team di Calcio a 5 Femminile di Eboli, condannato in via definitiva a 7 anni e 6 mesi di reclusione per abusi sessuali nei confronti di tre giocatrici della squadra, all’epoca dei fatti minorenni. La pena detentiva è divenuta definitiva dopo che la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai legali di Russo, già condannato in Appello, dove però ottenne uno sconto di pena rispetto ai 9 anni di prigione comminatigli in primo grado dai giudici del Tribunale di Salerno, che avevano accolto tutte le richieste del pm Giovanni Paternoster.
Espulso a seguito dello scandalo anche dai ranghi della Figc, Gennaro Russo, che lavorava come ausiliario di cancelleria presso il Tribunale di Eboli, subì anche l’interdizione dai pubblici uffici, il divieto di frequentare i luoghi dove vi sono minorenni e la decadenza della potestà genitoriale, con la condanna ad una provvisionale esecutiva, di 50mila euro, nei confronti di una ragazza vittima di violenza completa e di 10mila euro per ciascun genitore. L’inchiesta partì, tra il 2012 e il 2013, dai racconti e dalle denunce delle tre baby calciatrici che raccontarono agli inquirenti di baci, palpeggiamenti e, in un caso, anche di un rapporto sessuale completo con l’allenatore pedofilo incastrato da file audio, intercettazioni ed sms scambiati con le vittime. Una di queste, temendo di essere rimasta incinta, decise di denunciare tutto inchiodando il mister-orco, che in una intercettazione finita in mano agl’inquirenti ammette il rapporto sessuale completo, consumato in un luogo isolato della zona industriale di Eboli di ritorno da una trasferta della squadra.

“GIUSTIZIA È FATTA, È FINITO UN INFERNO”
Per le ragazze molestate ed abusate da Gennaro Russo, la sentenza che lo spedisce in cella risuona come la liberazione da un lungo incubo: “Eravamo abbracciate, a casa, aspettando una telefonata dall’avvocato per dirci cosa avevano deciso i giudici di Roma - commentano al quotidiano La Città - quando abbiamo saputo, siamo scoppiate in lacrime, è finito un incubo, un inferno, giustizia è fatta ma non potete immaginare il prezzo che abbiamo dovuto pagare”. Aveva 13 anni una delle ragazzine abusate: “Dal 2013 la nostra vita è cambiata - racconta la madre - mia figlia non dormiva più la notte, passava ore sotto la doccia ed era sempre aggressiva… non capivamo, poi abbiamo scoperto tutto, convivendo con l’incubo che, durante il processo, periti e psicologi non avrebbero creduto agli abusi subiti”.
“Lo abbiamo trattato come un amico di famiglia – racconta un altro genitore – e diceva di sentirsi come un padre per le nostre figlie, di essere un educatore, quante menzogne ha raccontato a tutti”.



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