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SERVIZIO 118 NEL CILENTO
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Capaccio, Croce Azzurra: torna il sereno tra gli angeli in ambulanza
Alfonso Stile
09 aprile 2019 08:42
Eye
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CAPACCIO PAESTUM. “Abbiamo temuto che il lavoro di tanti volontari come noi andasse disperso, perché crediamo molto in quello che facciamo, sentiamo addosso la grande importanza e responsabilità di ciò che svolgiamo per la gente”. Torna il sereno nell’associazione Croce Azzurra onlus, che attraverso le postazioni in tutto il Cilento, svolge il servizio 118 sul territorio compreso quello del Lazio.
A parlare all’unisono sono autisti, medici, rianimatori ed infermieri, che negli ultimi tempi avevano temuto lo smantellamento di una realtà di eccellenza del territorio a seguito della spirale giudiziaria che aveva risucchiato il titolare, il noto imprenditore capaccese Roberto Squecco, il quale, dopo oltre due anni di processi, si è visto poi restituire quasi tutti i suoi beni, proprietà e attività lavorative.
“Finalmente siamo tornati a lavorare tranquilli - sussurrano sollevati - pensavamo che, da un giorno all’altro, chiudessero tutto… però Roberto ci ha sempre rassicurati, ci ha sempre pagati con puntualità, la sua forza è stata la nostra forza, ha sempre avuto fiducia nella giustizia, ci tenevamo a dirlo perché non ci ha mai abbandonati”.
La Croce Azzurra è una onlus che vanta un parco mezzi all’avanguardia tra unità rianimative, ambulanze medicalizzate e neonatali, oltre ad essere l’unica in provincia di Salerno ad essere dotata di un’unità bariatrica per i grandi obesi e perfino di un’unità muletto in grado di sopperire ad un’ambulanza inutilizzabile. Per i numerosi volontari che vi orbitano, molti dei quali specializzati, il rimborso spese mensile come per legge rappresenta l’unico reddito familiare.
Lavorano sul filo dei secondi. E, ogni giorno, guardano in faccia alla morte. Vedono scene strazianti, incrociano pupille ormai spente, catturano sguardi disperati, gli ultimi bagliori d’esistenza di un ragazzo, di una madre, di un padre di famiglia. Immagini che restano impresse negli occhi, nella mente. E non vanno più via.
Le loro mani, intrise di sangue, premono forte cuori per impedire l’ultimo battito. Mani coraggiose che, spesso, salvano vite. Mani che poi nessuno stringe, nemmeno dopo veri e propri miracoli.
Mani che personalmente, nell’esercizio della mia professione di cronista, ho visto all’opera sul campo, purtroppo, molte volte. Mani di persone che ho imparato ad ammirare, a rispettare. Persone che lottano contro il tempo, a 130 all’ora, spiegando le sirene, forte, quasi come per dire a qualcuno, lassù, di aspettare ancora un attimo, ancora un chilometro.
Angeli custodi capaci di sfidare il destino. Angeli anonimi coi quali, ancora oggi, ho l’onore e l’onere di ‘lavorare’ fianco a fianco. Così come con le forze dell’ordine. Tra ambulanze e divise, ho assistito veramente a dei miracoli. Ma anche a silenziose lacrime quando, sull’asfalto, si spezza una vita.
Io le ho strette, le mani, di Stefano, di Serafino, di Maurizio, di Gerardo… angeli dell’Humanitas prima e della Croce Azzurra poi, autisti e soccorritori che arrivano per primi, che si fanno spazio tra le lamiere, che tirano fuori corpi, che sfrecciano verso gli ospedali. Ma anche gli angeli hanno bisogno di serenità.



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