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Agropoli, furti nelle gioiellerie: chiesti 30 anni per il clan degli zingari
Redazione
22 febbraio 2020 08:21
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AGROPOLI. Stangata sul clan degli zingari di Agropoli. Il pm Vincenzo Palumbo della Procura della Repubblica di Vallo della Lucania, infatti, ha chiesto complessivamente 30 anni di carcere per alcuni componenti del sodalizio criminale in ordine ai numerosi furti con destrezza commessi ai danni di gioiellerie in tutta Italia. Al termine della propria requisitoria, nel corso dell’ultima udienza del processo di primo grado tenutasi ieri presso il Tribunale cilentano, il pm Palumbo ha chiesto le seguenti condanne: 8 anni per Gerardo Marotta e Antonio Dolce alias Capone; 5 anni per Anna Petrilli e Donato Marotta alias Papesce; 4 anni e 6 mesi per Carmine Dolce alias Maruziello. Dopo l’intervento conclusivo del pm, hanno discusso gli avvocati difensori degli imputati Giuseppe Della Monica, Leopoldo Catena e Mario Pastorino. Successivamente, però, la Corte presieduta dal giudice Mauro Tringali, anziché leggere il dispositivo di sentenza, si è ritirata in Camera di Consiglio per poi riscrivere a ruolo il processo, aggiornando l’udienza per ascoltare, d'iniziativa, un altro teste, nello specifico un ufficiale dei carabinieri, e poi emettere la sentenza. Si tornerà in aula, dunque, il 5 marzo prossimo per ascoltare il teste e, nel caso, la riformulazione delle richieste di condanna da parte del pm.

Gli imputati furono rinviati a giudizio il 13 marzo del 2019 con l’accusa di associazione per delinquere semplice relativamente al filone d’inchiesta inerente i furti nelle gioiellerie commessi in tutta Italia, rientrante nell’ambito dell’operazione ‘Faro’ condotta dai carabinieri della Compagnia di Agropoli, culminata con il blitz del 30 novembre 2018 che portò all’esecuzione di 11 ordinanze di custodia cautelare in carcere, tra cui i capi storici del sodalizio criminale rom, 7 ai domiciliari e 4 obblighi di dimora. L’inchiesta madre sul clan degli zingari agropolesi Marotta-Cesarulo-Dolce, invece, è condotta del sostituto procuratore Colamonaci della Dda di Salerno, che si vide confermare l’aggravante del metodo mafioso in sede di Riesame, con gli imputati chiamati a rispondere anche di estorsione e minacce verso il sindaco, Adamo Coppola, e tre carabinieri della locale Compagnia.



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