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LA NOTA
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Caserta, Cisl su rapporto Svimez: "Serve cambio radicale"
Comunicato Stampa
02 dicembre 2025 14:47
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CASERTA. Il rapporto SVIMEZ 2025 dipinge un Sud attraversato da un paradosso profondo: da un lato, la crescita economica — alimentata dagli investimenti del PNRR, dal rilancio dell’edilizia e da un incremento dei servizi — ha prodotto quasi mezzo milione di nuovi occupati tra il 2021 e il 2024, di cui circa 100.000 sono giovani. I dati suonano positivi, ma subito dietro c’è un lato oscuro: i contratti restano spesso precari, i salari stagnanti o in calo reale, e cresce la quota di “lavoratori poveri”, cioè persone occupate ma incapaci di garantire condizioni di vita dignitose. In parallelo, il fenomeno migratorio giovanile assume proporzioni drammatiche: secondo SVIMEZ, nei tre anni 2022‑2024 il Mezzogiorno ha registrato l’uscita di circa 175.000 giovani tra i 25 e i 34 anni verso il Centro-Nord o l’estero. La Campania, nello stesso periodo, ha perso 48.489 giovani, con una prevalenza femminile e 7 laureate su 10 tra le donne partite. SVIMEZ sottolinea che il tessuto produttivo locale fatica a offrire sbocchi coerenti con la formazione: i giovani laureati e diplomati trovano spesso lavoro in comparti a bassa specializzazione, con scarso valore aggiunto e poche prospettive di carriera stabile. Il risultato è una “trappola del capitale umano”: il Sud continua a formare competenze e, nel contempo, lascia che queste emigrino altrove, portando via know‑how, potenziale di innovazione e prospettive di crescita. Per la provincia di Caserta, come per altre aree della Campania, questo dato assume un significato urgente. Caserta — con il suo tessuto di piccole e medie imprese, manifattura, agricoltura e servizi — rischia di essere travolta da questa doppia crisi: da un lato l’apparente “ripresa” dell’occupazione, dall’altro l’erosione del tessuto sociale e produttivo causata dalla partenza dei giovani.

Ferdinando Palumbo, segretario generale della CISAL Caserta, commenta con toni netti e critici: "Il Mezzogiorno non è vittima del destino, ma delle scelte sbagliate di chi ha amministrato la cosa pubblica; di governi che hanno promesso sviluppo e poi tagliato risorse; di una classe dirigente che ha preferito la gestione dell’emergenza alla costruzione di un futuro. Paghiamo decenni di politiche miopi, di burocrazie che hanno soffocato l’iniziativa privata, di imprese che hanno accettato il ricatto di salari bassi pur di sopravvivere, di apparati istituzionali incapaci di bonificare la corruzione e le zone d’ombra». Secondo Palumbo, non bastano le misure tampone: «Serve un cambio di rotta radicale. Occorre restituire dignità al lavoro, stabilire contratti seri e ben pagati, valorizzare le competenze e creare opportunità professionali stabili e qualificate sul territorio. Il Mezzogiorno deve tornare ad essere spazio di merito, non di sfruttamento; deve restituire speranza ai giovani, non spingerli via. Chi ha determinato il declino — politica, classi dirigenti, imprenditori pigri o cinici — deve assumersi la responsabilità della ricostruzione. Perché il Sud non è un’appendice: è una risorsa strategica del Paese. E non possiamo più permetterci di voltare lo sguardo altrove". 

È un richiamo severo, ma anche un appello alla responsabilità collettiva: la crisi del Sud non è solo statistica, è sociale, culturale, generazionale. Senza investimenti reali su lavoro di qualità, coesione territoriale e opportunità produttive, il rischio è che il Sud perda non solo giovani, ma la propria ragione di essere.



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