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LA SENTENZA
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Capaccio, no a misure cautelari per i dissidenti: motivazioni della Cassazione
Alfonso Stile
26 maggio 2022 10:08
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CAPACCIO PAESTUM. Presunto patto corruttivo per aggiudicarsi appalti pubblici a Capaccio Paestum e sfiduciare l'allora sindaco Franco Palumbo. No all’applicazione delle misure cautelari per l’imprenditore di Roccadaspide, Roberto D’Angelo, e per gli allora consiglieri comunali ‘dissidenti’ Nino Pagano, Pasquale Accarino, Francesco Petraglia, Fernando Maria Mucciolo, Nellina Montechiaro, Angelo Merola e l’ex capo dell’Ufficio Tecnico, Carmine Greco.

La Cassazione ha reso note anche le motivazioni per le quali, nell’udienza tenutasi del 23 febbraio scorso, ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato, dalla Procura della Repubblica di Salerno, contro le decisioni assunte dal Tribunale del Riesame, i cui giudici il 23 dicembre del 2021 avevano respinto la richiesta di applicazione di misure cautelari a carico degli indagati in relazione, a vario titolo, dei reati di corruzione per asservimento della propria funzione pubblica, turbativa d’asta in concorso e concorso in tentata estorsione. 

Nello specifico, il Riesame aveva fatto proprie le valutazioni del gip a fondamento della valutazione di esclusione dei gravi indizi di colpevolezza in merito ai capi d’imputazione contestati, evidenziando che “sebbene dalle fonti di prova emergesse in maniera chiara l’episodio alla base della promessa corruttiva formulata da D’Angelo ai consiglieri, risultavano tuttavia carenti gli elementi probatori a sostegno di un effettivo accordo e dell’accettazione della citata promessa di denaro da parte degli indagati”, anche in considerazione che tale patto corruttivo “avrebbe avuto origine da un’offerta così ampia da non poter assumere adeguata serietà e concretezza”. Anche in merito alla presunta tentata estorsione nei confronti di un imprenditore locale, è stato ritenuto carente il requisito della minaccia in quanto il D’Angelo si è limitato a prospettare all’imprenditore ‘rivale’ “l’esercizio di un proprio diritto, ovvero presentare appello avverso una sentenza che lo aveva visto soccombente”, condotta di per sé “non idonea a ingenerare nella persona offesa alcun timore”.

In merito, la Procura aveva contestato vizi di motivazione per omessa valutazione o travisamento di elementi probatori decisivi. I magistrati della sesta Sezione penale della Corte di Cassazione, al riguardo, hanno precisato, così come per D’Angelo nel primo ricorso inerente i reati di istigazione alla corruzione e turbativa d’asta, che “anche nel procedimento cautelare vale il principio secondo cui per proporre ricorso il soggetto legittimato deve essere portatore di un interesse concreto e attuale, che deve persistere fino al momento della decisione e che va apprezzato con riferimento all’idoneità dell’esito finale del giudizio a eliminare la situazione giuridica denunciata come illegittima o pregiudizievole per la parte”. 

Per gli Ermellini, dunque, ne deriva che “il Pubblico Ministero non ha interesse a ricorrere per Cassazione contro l’ordinanza del Riesame sviluppando deduzioni esclusivamente circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, esclusa dal Tribunale perché l’accoglimento del ricorso non produrrebbe l’effetto di ripristinare una misura cautelare: l'unico interesse che il pm può perseguire, in sede cautelare, deve avere per oggetto il mantenimento, la modifica o l’imposizione di una misura cautelare, né, d’altra parte, il pm ha un interesse contrario a quello dell’indagato circa l’accertamento della legittimità (o illegittimità) dell'ordinanza del Riesame per mezzo di una decisione irrevocabile idonea a fondare la tutela risarcitoria per la ingiusta detenzione. Infatti, la legittimazione sostanziale passiva in ordine a tale rapporto non compete al pm ma allo Stato. Su queste basi, poiché nel caso in esame il Procuratore della Repubblica ricorrente nulla ha prospettato circa il permanere delle esigenze cautelari sulla base delle quali fu fondata la richiesta di misura cautelare, il ricorso risulta inammissibile”. 

Pubblicate le motivazioni della Cassazione in merito all'applicazione o meno delle misure cautelari, si attende ora di conoscere quale sarà la richiesta che la Procura della Repubblica di Salerno formulerà al gup, ovvero il rinvio a giudizio o l'archiviazione del procedimento penale, per tutti gli indagati o per alcuni di essi.



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