Editoriale
Il bluff che ha rovesciato l'Amministrazione Marino
Alfonso Stile
30 dicembre 2011 16:36
Eye
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Al Consiglio comunale-farsa del 22 dicembre scorso, io c’ero. Ed ho visto. Ho visto come sia possibile rovesciare un’Amministrazione comunale ed un sindaco senza che nessuno se ne accorga, con un bluff spietato quanto irriverente, effettuato da abili giocatori di poker mascherati da politici. Raccontarlo è storia della nostra Capaccio Paestum, e la storia insegna (o almeno dovrebbe): ecco perché ve la racconto.

Il tavolo verde è l’emiciclo del municipio di Capaccio Capoluogo, quinta mano relativa alle osservazioni al redigendo Puc. Dalla parte del primo cittadino, Pasquale Marino, siedono Vito Scairati, Carmine Caramante, Raffaele e Ciccio Barlotti, Gigi Ricci, Pinello Castaldo, Mimmo De Riso, Enzo Monzo e… Pasquale Mazza. Dall’altra, all’appello dell’opposizione (Ragni, Vicidomini, Longo, Voza e Troncone) manca il solo Valletta. Il biscazziere è Paolo Paolino, burbero per definizione: il Presidente del Consiglio comunale apre la seduta, vocifera il dovuto con una pacatezza che stride con la sua tradizionale irruenza; poi, dopo 25 minuti, lascia lo scranno al suo vice, Peppe Mauro. È il primo segnale di una recita, ma passa inosservato.
La seduta prosegue e comincia il valzer: la minoranza esce a braccetto dall’aula quando, all’esame del consesso civico (eletto dal popolo), c’è l’osservazione a firma di Franco Sica, ovvero quella che chiede, nome per nome e particella per particella, di stralciare i terreni di proprietà di consiglieri di maggioranza e loro parenti, fino al quarto grado. La musica, scomposta in 15 brani, va avanti. In fondo, è imposto dalla legge evitare incompatibilità. E così, ad ogni scheda, un via vai di consiglieri rompe la rituale monotonia dei lavori dell’assise: a danzare Marino, Scairati, Caramante, Monzo, Raf Barlotti e Castaldo. Ad uno che va, c’è l’altro che viene. La minoranza assiste al balletto con malcelato compiacimento e in surreale silenzio: non una nota stonata o una polemica, nemmeno una protesta. Sembrano spettatori impotenti. Sembrano perdere… terreno. Sembra strano, appunto. È il secondo atto di un copione già scritto.
La posta in palio aumenta ad ogni nuova scheda. Scairati e Caramante chiamano le carte, l’Amministrazione gioca sul sicuro e, dopo un’ora, arriva pure Gabriele Mauro: il sindaco sorride tra i denti, la partita gli appare saldamente in pugno anche se, l’ultimo arrivato, resta solo per pochi minuti. Nessuno si chiede “ma allora che è venuto a fare?”: terzo canto della Divina Commedia.
Ma gli occhi e l’attenzione della maggioranza, ormai, sono solo su fiches e terreni, addormentata dall’anomala quanto soporifera quiescenza di Ragni e soci. Il sonno toglie pure il senno, tanto che Scairati e Castaldo finiscono col rilanciarsi a vicenda, chiamando finanche in causa l’esimio architetto Sabelli per chiarimenti: puerili dispetti tra figuranti di un’Amministrazione che in mano, ormai, c’ha solo un full (tris Caramante-Ricci-De Riso e la coppia di Barlotti). Si arriva a tre ore e mezza di noia, i riflessi si annebbiano, ma Marino e company vanno lo stesso all in pensando di portarsi a casa il piatto. In realtà, abboccano senza accorgersene ai buio di Paolino, Mazza (partita ‘perfetta’ la sua) e Gabriele Mauro, stramazzando increduli davanti ad un bluff organizzato coi fiocchi, una presa in giro colossale, un ultimo Consiglio comunale-pantomima che sa molto di comica derisione e compiuta vendetta. Uno sfizio che qualcuno si è voluto togliere a compensazione di vecchi sgarri: "prima gli facciamo fare il Consiglio, poi andiamo dal notaio e li mandiamo a casa", anche se è chiaro che l'atto di sfiducia fosse già pronto. E pensare che Caramante era disposto a metterci l’undicesima firma, semmai ce ne fossero state davvero dieci: non ce n’è stato bisogno.
Ed ora, nelle orecchie dei componenti dell’ex Amministrazione Marino presi per i fondelli, risuonano assordanti gli sghignazzi e le risate di chi, nell’ombra, ha tramato l’inganno e la beffa, assaporando il gusto di una vendetta servita fredda, freddissima. Mai legge non scritta, delle carte, fu così impietosa: “Se ti siedi ad un tavolo di poker e non sai chi è il pollo, vuol dire che il pollo sei tu”.

Questo il racconto, per qualcuno (forse) anche una rivelazione. Questa la cronaca dello sfracello, a Capaccio Paestum, della seconda Amministrazione civica consecutiva. Ai cittadini l’ardua sentenza.



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