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STRAGE DI CAMORRA
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Capaccio: dopo 31 anni ergastolo al killer di Enzo Marandino, figlio del boss Nco
Alfonso Stile
21 settembre 2017 07:25
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CAPACCIO PAESTUM. Ergastolo per Umberto Adinolfi, il killer che il 30 luglio del 1986, a Capaccio Paestum, insieme ad un complice uccise Antonio Sabia e Vincenzo Marandino, figlio del noto boss Giovanni Marandino, oggi 80enne ed all’epoca dei fatti cassiere della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo.
Dopo 31 anni, dunque, arriva la sentenza di primo grado per la strage di camorra che insanguinò la città dei Templi, con la condanna al carcere a vita per Umberto Adinolfi (nella foto), detto ‘a Scamarda negli ambienti criminali, dopo che lo stesso aveva ricostruito e confessato il delitto davanti al gup Sergio De Luca, il magistrato che ha poi emesso la sentenza al termine del procedimento con rito abbreviato, disponendo per l’imputato anche l’interdizione dai pubblici uffici e la decadenza della potestà genitoriale, fissando una provvisionale di 40mila euro per ciascuna delle parti civili, ovvero la moglie di Sabia, Maria Grazia De Benedictis, e suo figlio Carmine, che nel 1986 aveva appena 3 anni.
Il processo a carico di Adinolfi, difeso dall’avv. Vincenzo Calabrese, era tornato alle fasi iniziali dopo che la Cassazione aveva riscontrato dei vizi di forma, mentre al coimputato Salvatore Mercurio era stato già confermato l’ergastolo. Lo scorso giugno fu fissata l’udienza preliminare e, dopo 31 anni di omertà, Adinolfi ha confessato il delitto e come vennero trucidati Enzo Marandino e il suo autista Sabia, che all’epoca avevano rispettivamente 29 e 26 anni.

LA CONFESSIONE: ECCO COME AVVENNE IL DUPLICE OMICIDIO
Adinolfi ha spiegato che, quell’estate di 31 anni fa, si trovava a Capaccio Paestum in visita da uno zio, quando ricevette l’improvvisa visita di Mercurio, conosciuto anni addietro in Perù, che però non lo mise a conoscenza del suo piano omicida. Erano in auto entrambi a bordo di una Fiat 112 quando, giunti a Ponte Barizzo per una commissione, Mercurio con l’ausilio di un binocolo individuò Sabia, che essendo l’autista di Marandino lo accompagnava ovunque. Fu in quel momento che decise che era giunta l’ora di vendicarsi per alcuni torti subiti dal figlio del boss nel carcere di Poggioreale. Improvvisamente, scese così dall’auto e sparò contro i due, fino a quando l’arma non s’inceppò: fu allora che esortò Adinolfi a scendere ed a terminare il massacro. Per Marandino non ci fu scampo e morì sul colpo, mentre Sabia riuscì per un attimo a fuggire nei campi, ma fu raggiunto e ucciso ancora da Mercurio, che aveva recuperato una seconda pistola, nascosta in auto, per finirlo.
Dopo il duplice omicidio si diede alla latitanza, ma fu scovato ed arrestato in Spagna nel 2005. Dopo l’estradizione, si ritrovò alla sbarra più volte per difendersi delle accuse di essere un killer dei Cutoliani, venendo condannato già all’ergastolo per l’omicidio di un imprenditore, Giuseppe Vaccaro.



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