NAPOLI. È un bene primario, vitale e da preservare. L’acqua, invece, continua spesso a essere gestita come se fosse proprietà privata a vantaggio di pochi che si assicurano enormi guadagni a discapito di cittadini, dell’ambiente e delle stesse casse statali. Il settore dell’acqua in bottiglia in Italia non conosce crisi: un giro d’affari stimato intorno ai 10 miliardi euro all’anno, con un fatturato per le sole aziende imbottigliatrici che i rapporti di settore stimano in 2,8 miliardi di euro, di cui solo lo 0,6% arriva nelle casse dello Stato. In Campania, così come in buona parte d’Italia, le aziende ad esempio pagano canoni che raggiungono in media 1 millesimo di euro al litro (un costo di 250 volte inferiore rispetto al prezzo medio di vendita dell’acqua in bottiglia).
A riportare l’analisi sul business dell’acqua in bottiglia sono Legambiente e Altreconomia che, in vista della Giornata mondiale dell’acqua del 22 marzo, presentano il dossier “Acque in bottiglia. Un’anomalia tutta italiana”, in cui si riporta la non sostenibilità dell’attuale modello di gestione della risorsa idrica e le carenze strutturali del nostro Paese. Per questo l’associazione ambientalista chiede che la concessione di beni comuni naturali e di pregio venga sottoposta ad attente regole di assegnazione e gestione, nonché a canoni adeguati in modo da evitarne abusi nell’utilizzo e rendite per pochi.
“Occorre sfatare il falso mito che l’acqua imbottigliata sia migliore e più controllata di quella del nostro rubinetto, ma soprattutto svendere questa preziosa risorsa a costi praticamente irrisori, una media di appena 1 millesimo di euro per ciascun litro imbottigliato – dichiara Mariateresa Imparato, presidente di Legambiente Campania -. La nostra proposta è di applicare un canone minimo a livello nazionale di almeno 20 euro al metro cubo, cioè 2 centesimi di euro al litro imbottigliato. Una cifra comunque ancora bassa, ma già dieci volte superiore a quella attuale e che permetterebbe ad esempio alla sola Regione Campania introitare almeno 37 milioni di euro l’anno, rispetto ai due attuali. Fondi da reinvestire in politiche e interventi in favore dell’acqua di rubinetto e per la tutela di della risorsa idrica, oggi messa a dura prova anche dai cambiamenti climatici e dalle continue emergenze siccità”.
In Campania sono 10 le concessioni attive per un totale di 513 ettari di aree date in affidamento. Nel corso di questi anni la situazione è migliorata per ciò che riguarda l’adeguamento ai criteri di definizione dei canoni di concessioni dettati dal documento della Conferenza Stato Regioni, ma siamo ancora molto lontani dalla proposta dei 20 euro/metrocubo, come criterio unico nazionale, ovvero 2 centesimi al litro, che Legambiente propone nel dossier. Pur rimanendo due i criteri dei canoni utilizzati (ovvero quello legato alle estensioni delle concessioni e quello legato ai volumi imbottigliati), sono aumentati in questa regione gli importi corrisposti: da 38,66 euro per ettaro del 2014 a 39,11 euro/ha attuali e da 0,30 euro a 1,00 euro per metro cubo di acqua imbottigliata. Sono inoltre previsti molteplici criteri per la riduzione del canone del 50% tra i quali anche l’utilizzo delle aziende del vetro con modalità vuoto a rendere. Un’attenzione che fa sicuramente bene all’ambiente, peccato però che il prezzo al consumatore finale non cambi mai.
Problemi alla rete e scarsa fiducia dei cittadini. Nonostante l’Italia sia ricca di acqua, e per lo più di buona qualità, esistono purtroppo alcune criticità nel sistema di approvvigionamento, di gestione e di controllo che spesso contribuiscono ad alimentare la sfiducia nei confronti dell’acqua del rubinetto, che oggi riguarda circa un terzo delle famiglie italiane. Tra i problemi più frequenti sicuramente l’inadeguatezza della rete idrica. Le perdite idriche maggiori in Campania, secondo i dati diffusi dall’Istat, si registrano a Salerno, dove la differenza tra acqua immessa e consumata è pari al 60% (nel capoluogo in media si consumano 234 litri di acqua al giorno per abitante). Situazione simile a Caserta, dove le perdite idriche totali raggiungono il 59% (il consumo è di 238 litri per abitante al giorno). Al 47%, invece, le perdite reali a Benevento e Avellino (il consumo è rispettivamente di 237 e 186 litri al giorno). Infine a Napoli - dove ogni cittadino consuma in media 224 litri al giorno - la differenza tra acqua immessa e consumata è pari al 43%.
Solo lo scorso anno, sempre secondo l’Istat, il 9,4% delle famiglie italiane ha lamentato un’erogazione irregolare dell’acqua nelle abitazioni. Ci sono inoltre alcune situazioni di contaminazione dell’acqua potabile, connesse con l’inquinamento delle falde utilizzate per l’approvvigionamento o con problemi lungo la distribuzione, che non migliorano di certo la percezione dei cittadini sul tema e su cui è urgente intervenire in maniera tempestiva e con una chiara e trasparente attività di informazione per la popolazione coinvolta.
“Si tratta però di situazioni puntuali per lo più note e segnalate dalle autorità competenti, che non devono essere generalizzate su tutto il territorio nazionale - aggiunge Andrea Minutolo, coordinatore scientifico di Legambiente e curatore del rapporto dell’associazione -. I controlli sull’acqua che arriva nelle nostre case sono molto accurati e frequenti e la normativa è in continuo aggiornamento, a livello europeo, con la discussione iniziata nel 1 febbraio scorso della nuova direttiva sulle acque potabili, il cui obiettivo è proprio quello di incrementare l’utilizzo di acqua di rubinetto e ridurre l’eccessivo consumo di bottiglie di plastica, e nazionale, dove si sta sperimentando lo strumento dei Water Safety Plan. Quest’ultimo si pone l’obiettivo di prevenire i problemi qualitativi sulle acque potabili e al tempo stesso rafforza la rete dei controlli e le modalità di comunicazione, informazione e trasparenza”.
L’obiettivo di incrementare l’utilizzo dell’acqua di rubinetto e ridurre l’eccessivo uso di bottiglie di plastica è anche al centro dei recenti cambiamenti in atto nella legislazione europea, dalla Plastic Strategy alla nuova proposta di revisione della direttiva sulle acque potabili presentata lo scorso 1 febbraio, con una riduzione del 17% dei consumi di acqua in bottiglia di plastica e un risparmio conseguente per le famiglie europee pari a 600 milioni di euro l’anno. Intanto il consumo di acqua in bottiglia nel nostro Paese continua a crescere, con una produzione che oscilla tra i 7 e gli 8 miliardi di bottiglie all’anno. Il 90% dell’acqua emunta e imbottigliata in Italia non valica i confini. Nel 2010 erano dodici i miliardi di litri confezionati, saliti a quattordici nel 2016.
Quanta plastica. In Italia, in base ai dati elaborati da Legambiente, il 90-95% delle acque viene imbottigliato in contenitori di plastica e il 5-10% in contenitori in vetro: in pratica ogni anno vengono utilizzate tra i 7 e gli 8 miliardi di bottiglie di plastica. Numeri impressionanti anche rispetto agli impatti ambientali: più del 90% delle plastiche prodotte derivano da materie prime fossili vergini (il 6% del consumo globale di petrolio) e l’80% dell’acqua imbottigliata in Italia viene trasportata su gomma (un autotreno immette nell’ambiente anche 1300 kg di CO2 ogni 1000 km). Per questo le bottiglie di plastica rappresentano uno dei nodi centrali anche nella recente Plastic Strategy europea, presentata a fine 2017, che si pone l’obiettivo di ridurre i consumi di bottiglie e di fermarne la dispersione nell’ambiente, a partire da quello marino-costiero. Dall’indagine Beach Litter condotta da Legambiente lo scorso anno emerge che oltre l’80% dei rifiuti rinvenuti sulle spiagge italiane tra il 2014 e il 2017 sono oggetti in plastica e che bottiglie e tappi ne rappresentano il 18%: in pratica l’equivalente di oltre 15mila bottiglie. Senza calcolare che i rifiuti visibili sono stimati in una percentuale di circa il 15% rispetto a quelli in realtà sommersi e presenti sui nostri fondali.