Opinione
L'opinione - Puc, cultura e identità
Aurelio Di Matteo
31 gennaio 2013 08:47
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Il merito dell’intervento dell’architetto Carlo Guida, quanto mai opportuno ed esaustivo nella formulazione, oltre alle valide proposte espresse, credo sia soprattutto nel fatto che finalmente il discorso si sposta sul piano culturale, dopo che per anni ci si è soffermati su presupposti giuridici obsoleti - per di più poco pertinenti – e sull’idea di “regolamentazione” finalizzata alla cementificazione a tipologia “residenziale”. È ormai tempo di orientare la pianificazione territoriale e l’uso del suolo su presupposti culturali. D’altra parte è acquisizione pacifica, anche nel “tradizionale“ MIBAC, che la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale debbano essere estese, con metodologie e gestioni integrate, ai segni identitari che costituiscono la res tipica di un territorio. A costo di apparire monocorde, ripetitivo e petulante, ritengo che la scelta pregiudiziale che si debba fare sia nell’alternativa tra prefigurare una “città compatta” a espansione edilizia, secondo i classici canoni dell’urbanistica basata sui criteri fondanti del parametro densità, e una “città diffusa” o, se si preferisce, “città multipolare”, che abbia come finalità della pianificazione lo sviluppo economico centrato sul Turismo e sull’Agricoltura. Giustamente l’arch. Guida, da competente quale egli è, pone come premessa alle sue proposte la caratterizzazione di Capaccio come “città pluricentrica”, che io, con definizione non da urbanista, ho sempre chiamato Città dei Venti Borghi. Ciò è possibile solo avendo consapevolezza che la valorizzazione culturale del territorio è diventata la risorsa fondamentale per l’economia post-industriale e ne costituisce la preminente strategia di sviluppo; che l’affermazione degli economisti classici – “la cultura non si mangia” – è stata una grossolana mistificazione e una becera boutade politica. La “socio-economic” di un territorio si può sviluppare solo attraverso la tutela e la valorizzazione dell’identità culturale di uno spazio geografico e antropologico, dove s’incontrano sedimentazioni archeologiche, caratterizzazioni rurali, tradizioni e presenze religiose, particolarità paesaggistiche, storia locale, cultura immateriale, enogastronomia e quant’altro sia tipico di un territorio. Riprendo, sintetizzando, da una mia pubblicazione sulla “Rivista di Scienze del Turismo” (n.3/2011). Quello che occorre per l’elaborazione del PUC è un’idea di Città fatta di tessuto sociale. L’intervento sul tessuto urbano non può essere un’operazione di urbanistica tradizionale fatta di cemento, zone residenziali, zone commerciali, zone alberghiere, strade piazze, marciapiedi e monumenti. Occorre, invece, una progettazione che abbia al centro l’antropologia e la funzione strutturale del territorio, partendo dai luoghi veri, da quei luoghi, insomma, da tutti riconosciuti come attrattori vitali e dinamici nell’organizzazione della vita concreta dei cittadini: a questi rendere coerente il turismo balneare, quello archeologico - culturale e quello enogastronomico in un processo di sviluppo integrato e sostenibile. Capaccio Paestum città multipolare e meta turistica di massa e di eccellenza, città con un’alta qualità di vita e di produzione agro-alimentare, città culturale e archeologica, sono i tre scenari sui quali si dovrebbero sviluppare le ipotesi di sviluppo del territorio attraverso il PUC. Solo così si realizzerà e si modellerà uno spazio turistico durevole in funzione della mutabilità della domanda. Negli ultimi tempi va scomparendo l’idea di una città in espansione in favore di un’idea di città e di territorio che punti all’innalzamento del livello medio della qualità della vita: più che l’espansione quantitativa si ricerca l’espansione della qualità. In tale prospettiva assume un ruolo determinante il sistema ambientale, anzi differenti ruoli: quello di infrastruttura (connessione tra ambiti e ambienti diversi, rete ecologica); quello di città alternativa (grande parco che oppone il suo specifico disegno a quello del territorio urbanizzato); quello di risorsa e riserva (garanzia dell’equilibrio del territorio). Questo insieme di obiettivi si articola in una serie di sub sistemi che rappresentano un “sistema ambientale”. Ricostruire la qualità diffusa per il ben-essere comune comporta due risultati per lo sviluppo di una Comunità. Il primo è quello di superare il contrasto tra residenti e turisti: il miglioramento della qualità della vita del residente è lo strumento migliore per trasformare un territorio in uno spazio accogliente. Il secondo è la ricaduta sull’economia, perché un ambiente che valorizza la sua res tipica e mette in evidenza il suo patrimonio culturale e antropologico diventa un’appetibile destinazione turistica. È una scelta strategica rivolta a un complessivo assetto e un integrato ed equilibrato sviluppo della Comunità, un intervento che strutturalmente coordina e mette a sistema una miriade di interventi settoriali che, diversamente, sarebbero rimasti frammentari e inefficaci ai fini dello sviluppo.
La nuova pianificazione dovrebbe avere a base i seguenti criteri:
1) Lavorare sulla città esistente: partire dall’esistente, riqualificarlo e ammagliarlo, senza cercare nuove “urbanizzazioni”; non una città chiusa e definita, né una città “dispersa”, ma un processo di metamorfosi in cui il pluricentrismo esistente si trasformi in un valore umano, sociale e culturale.
2) Portare la qualità in tutto il territorio: esportare nelle parti esterne, qualità, densità, funzioni, servizi e attrezzature idonee alla vivibilità.
3) Costituire reti e connessioni: anziché prevedere inutili nuovi insediamenti, costituire reti di connessione tra i molti centri-borghi che abbiano come trasversalità una “rete ecologica” che ripercorra anche le vie di un’esperienza intellettuale. Tutti i punti di vista più accreditati, pur differenti, sottolineano l’importanza delle reti di connessione e dei sistemi di continuità ambientale, ponendo in evidenza uno dei compiti più efficaci per la pianificazione della città contemporanea. È un’articolata trama entro cui assumono un ruolo strutturante le grandi superfici dei parchi verdi, le oasi e gli ambiti naturalistici, i percorsi ecologici, i parchi a tema, il restauro e la valorizzazione dell’edilizia rurale, l’evidenza dell’edilizia industriale, gli attrattori sportivi, la costituzione di raccolte museali dedicate, la creazione di spazi culturali, ecc. Si tratta di una trama di connessione costituita da attrattori che consentono al cittadino di esprimersi e comunicare, di lavorare e di divertirsi, di fare sport e di fare cultura. Insomma la socializzazione e la vita civile, nella loro complessità, si attivano in strutture e in modi completamente diversi nei quali non rientrano più né le strade, né le piazze, tanto meno gli edifici per civili abitazioni. Le strutture di socializzazione, di centralità e di “connessione urbana” sono i “luoghi” delle attività culturali e scolastiche, degli spettacoli e degli eventi congressuali, le grandi aree fieristiche e museali, i parchi tematici e gli itinerari ambientali, i grandi centri commerciali e di ristoro, opportunamente inseriti nelle preesistenze e nelle identità consolidate. Si tratta di concepire la cosiddetta “città generica”, uno spazio senza determinazione formale, che si espande all’infinito e assume di volta in volta una caratteristica diversa. Il resto è archeologia urbanistica, marginalizzazione sociale, inutile cementificazione e, magari, tutela di interessi particolari.

Aurelio Di Matteo



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