Giudiziaria
LA SENTENZA
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Capaccio Paestum, appalti pilotati: Cassazione conferma domiciliari per Alfonso D'Auria della Dervit
Alfonso Stile
16 aprile 2025 06:04
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  12023

CAPACCIO PAESTUM. Presunti appalti pilotati a Capaccio Paestum. La Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso presentato da Alfonso D’Auria, procuratore speciale della Dervit, avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale del Riesame di Salerno aveva rigettato la richiesta di revoca degli arresti domiciliari in relazione alle accuse di turbativa d’asta, riferite all’aggiudicazione in favore della Dervit s.p.a. di appalti in materia di pubblica illuminazione da parte del Comune di Capaccio Paestum, retto dall’ex sindaco Franco Alfieri coimputato nel procedimento penale. 

Il legale di D’Auria, l’avv. Antonello Natale, aveva motivato il ricorso sostenendo che non vi fossero più pericoli d’inquinamento probatorio e reiterazione del reato, viste le dimissioni di D’Auria da tutti gli incarichi ricoperti nella Dervit, comunicate già in sede d’interrogatorio di garanzia, ed essendo stata inoltre disposta la sua sospensione per giorni 90 dalle attività lavorative. 

Ma la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso nel suo complesso infondato, ponendo in rilievo che “era stato creato un vero e proprio sistema illecito, incentrato sul pervasivo ruolo del Sindaco Alfieri e sulla posizione egemone della società Dervit s.p.a., che poteva fruire dell’aggiudicazione di appalti all’esito di gare connotate da condotte illecite di tipo collusivo, volte a soddisfare i desiderata del Sindaco, a scapito dell’autonomia dell’operato degli organi tecnici” evidenziando che “proprio il Sindaco Alfieri aveva palesato in vario modo l’intendimento di sottrarsi alla possibile scoperta di elementi probatori a carico di lui e degli altri soggetti coinvolti nell’illecito sistema, essendo stato colto a scambiare messaggi a mezzo di ‘pizzini’, a controllare se fossero stati installati strumenti per operazioni d’intercettazione e ad effettuare vere e proprie attività di bonifica. Si è prospettato che anche i soggetti che operavano nel Comune, con ruoli direttivi e tecnici, subivano l’influenza dominante del Sindaco e che di ciò erano espressione sia le condotte da ciascuno tenute nelle fasi di predisposizione delle gare sia le dichiarazioni compiacenti da essi rese nel corso delle indagini, a dimostrazione di un intendimento diffuso di celare elementi di prova. Tale quadro è stato delineato nella prospettiva di desumerne un’azione inquinante a vantaggio di tutti coloro che facevano parte di quel sistema, compresi gli esponenti di Dervit, in particolare l’amministratore della società De Rosa e D’Auria”. 

Gli Ermellini continuano evidenziando che “non illogicamente, nell’ordinanza impugnata si dà rilievo al pieno coinvolgimento del ricorrente nel sistema illecito, che ruotava intorno alla figura del Sindaco Alfieri, coadiuvato dagli stretti collaboratori, e alla società Dervit, i cui esponenti avevano assunto un ruolo egemone nell’acquisizione di appalti pubblici nel settore: è stato dunque rilevato come il coinvolgimento di D’Auria sottendesse uno stretto rapporto fiduciario con De Rosa e una specifica capacità di azione, che consentiva al ricorrente di operare all’interno del consolidato rapporto collusivo. Il protrarsi e la rilevanza delle condotte illecite ravvisate ha dunque condotto il Tribunale a ritenere che il ricorrente fosse in grado di agire per il conseguimento di illeciti interessi sulla base di una strategia correlata a tale obiettivo in quell’ambito territoriale”. 

Sulla scorta di ciò, la Suprema Corte nel rigettare il ricorso conclude: “La capacità e l’attitudine del ricorrente vale dunque a connotare la concretezza del pericolo in relazione ad una strategia imprenditoriale consolidata, mentre con riguardo all’attualità dello stesso non può non rimarcarsi la sussistenza di quel sistema. Né in senso contrario può valorizzarsi la circostanza che il ricorrente abbia rinunciato al ruolo di direttore tecnico e che gli sia stata revocata la procura speciale in precedenza rilasciatagli: il ricorrente continua ad essere dipendente della società Dervit, nell’interesse della quale aveva agito nel quadro di uno stretto rapporto fiduciario, non potendosi dunque ritenere, in assenza di un segnale inequivoco circa un’effettiva e piena presa di distanza da quell’operatività e da quel quadro di interessi che sia venuto meno il pericolo di reiterazione (…). Va rilevato come il sistema delineato fosse risultato operante per lungo tempo, essendo dunque necessario precludere una piena libertà di movimento e di contatti tra i protagonisti, onde disarticolare quel tipo di operatività illecita”.



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