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CAMORRA
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15 maggio 1979: l’arresto di Raffaele Cutolo
Alfonso Stile
14 maggio 2010 13:40
Eye
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Stato e malavita organizzata. Un dialogo antico. Lo confermano una miriade d’inchieste, di condanne e di morti ammazzati. Rivelazioni e sentenze spesso clamorose, macchiate di sangue tra patti e ricatti. Una volta, in Campania, lo Stato si dovette calare anche le brache al cospetto della camorra. Una vecchia storia da non dimenticare… che inizia esattamente 31 anni fa, in provincia di Salerno, in un vecchio cascinale a dir poco introvabile, ben celato com’è, da un labirinto di verdi campagne ed impervi sentieri. Sono passati 31 lunghi anni da allora, ma il ricordo non sbiadisce. A localizzarlo tra i campi di Albanella, quel 15 maggio del 1979, furono gli elicotteri dei carabinieri: quasi cento per l’esattezza quelli dei reparti speciali che parteciparono all’operazione che portò all’arresto di Raffaele Cutolo, indiscusso e temuto capo della Nuova Camorra Organizzata, il quale, in quel rudere di grezza costruzione trasformato in un autentico bunker, aveva trovato adeguato rifugio da latitante. Ai militari dell’Arma che fecero irruzione, seppur armato fino ai denti Cutolo non oppose resistenza, ma la sua prosopopea: “Chi ti credi di essere? Il generale Dalla Chiesa, per caso? Solo lui meriterebbe lo sfizio di arrestare un grande capo come me”, disse digrignando all’appuntato che gli mise le manette. Poi, intravedendo il colonnello Bario, comandante dei carabinieri di stanza a Napoli, esclamò testualmente: “È giusto che per arrestare un capo si muove un altro capo”. Al blitz prese parte anche il maresciallo Costantino Trapani, allora comandante della stazione dei carabinieri di Albanella. Abbiamo seguito la scia della sua inconfondibile Fiat 131 bianca e lo abbiamo rintracciato in paese. Titubante, ha preferito congedarsi scusandosi, sigillando quella cerniera di silenzio ed omertà chiusa da 31 anni. Avremmo voluto chiedergli cosa rappresentò quel giorno di maggio per tutta la comunità di Albanella, cosa gli manifestarono i suoi concittadini all’indomani dell’arresto e, soprattutto, se si sentisse ancora fiero di aver contribuito al successo dell’operazione. Tutto qui.  Semplicemente. Alla fine, però, tutto ciò che volevamo sapere dalla sua bocca... lo abbiamo visto bene negli occhi degli albanellesi. Parole poche, voglia di non ricordare tanta: se per molti è stato il momento in cui la legge ha prevalso sul crimine, l’inizio della fine per la NCO e l’affermazione finale dello Stato sul boss imprendibile... per tutti loro resterà sempre una pagina brutta, un’onta indelebile, una data maledetta che, ancora oggi, adombra la dignità, l’orgoglio e la tranquillità del paesino immerso nel verde della Piana del Sele. Un amaro ricordo da soffocare, forse ancora per paura e per mera rassegnazione, che sopravvive solo nella memoria di coloro i quali furono testimoni indiretti dell’arresto del boss per antonomasia della camorra. Perché Raffaele Cutolo non era un delinquente qualunque. E mai lo sarà, visto che, a 31 anni di distanza, c’è ancora chi teme di pronunciare il suo nome alimentandone finanche il mito. Ad Albanella, infatti, terminò la latitanza di uno dei criminali più pericolosi ed influenti con cui l’Italia abbia dovuto fare i conti, ma non il suo potere, che solo il tempo, l’età e il carcere duro hanno potuto assottigliare fino a rendere Cutolo “l’ultimo superstite di una criminalità ormai sepolta, un pesce fuor d’acqua”, come dichiarò il giudice Carlo Alemi, semmai un giorno fosse rimesso in libertà. Ma chi era davvero ‘o professore, come lo chiamavano i suoi fedelissimi? La sua “storia” ha ispirato romanzi e perfino un film (Il Camorrista), intrisa com’è di sangue, efferatezza ma anche del carisma, se così possiamo dire, di quel giovane figlio di un mezzadro di Ottaviano vessato dai suoi padroni, capace di mettere in piedi una potente organizzazione a delinquere che terrorizzò Napoli e la Campania negli anni Ottanta, allacciare accordi con le cosche della n’drangheta e gl’intoccabili padrini siciliani della mafia newyorkese, fino al punto di costringere lo Stato a scendere a patti con lui in occasione del sequestro di Ciro Cirillo, esponente della Dc rapito dalle Brigate Rosse il 27 aprile del 1981. Cutolo, sollecitato da diversi esponenti della Democrazia Cristiana e dai servizi segreti, mediò con i sequestratori ottenendo la liberazione di Cirillo. In cambio del “favore”, chiese il riconoscimento della seminfermità mentale e trattamenti più morbidi per sé ed i suoi affiliati, ma non li ottenne mai: anzi, per ferma volontà dell’allora Presidente Sandro Pertini, fu confinato nel carcere di massima sicurezza dell’Asinara. Temuto, consultato, usato e poi gettato dallo Stato, condannato a diversi ergastoli da scontare in regime di 41 bis, nel 2004 (dopo 25 anni consecutivi di galera), ha chiesto la grazia (negata) al Presidente della Repubblica, Ciampi, “perché stanco e desideroso di trascorrere il resto dei suoi giorni a casa”. Oggi ha 69 anni, è rinchiuso nel penitenziario di Terni nella stessa cella che fu di Bernardo Provenzano prima che la primula rossa di Cosa Nostra si desse alla macchia. Una vita dietro le sbarre, da uomo d’onore. Cutolo, infatti, non si è mai pentito. Perché? Lo rivelò egli stesso in un’intervista che ha fatto epoca e decretato il suo declino: “Mi sono pentito davanti a Dio, ma non davanti agli uomini. La dignità è più forte della libertà, non si baratta con nessun privilegio. È da anni che i magistrati provano a convincermi. Nel ‘94 il procuratore Greco, per il quale ho molto rispetto, mi disse: starai in una villa con tua moglie. Rifiutai. E sono orgoglioso di aver sempre resistito alla tentazione. Penso che la legge sui pentiti sia un’offesa alla gente onesta e alle famiglie delle vittime”. Nel 2007, dal carcere di Novara, ha querelato lo scrittore Roberto Saviano per averlo indicato, in un passaggio del libro Gomorra, come mandante dell’omicidio di una bambina, Simonetta Lamberti. Sul noto motore Google di Internet, alla voce “Raffaele”, Cutolo è da anni al primo posto. A lui sono dedicati numerosi video e social forum: è il boss più “cliccato” della rete.




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