Cronaca
LA TRAGEDIA
LA TRAGEDIA
Agropoli, femminicidio Rizzo: la lettera-appello dei familiari alle Istituzioni
Antonio Vuolo
18 luglio 2025 14:01
Eye
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AGROPOLI. La tragedia di via Donizetti, ad Agropoli, ha ora una verità giudiziaria definitiva. Con il decreto di archiviazione emesso dal Gip del Tribunale di Vallo della Lucania, Mauro Tringali, si chiude formalmente l’inchiesta sulla morte di Annalisa Rizzo, uccisa con dieci coltellate dal marito Vincenzo Carnicelli, che subito dopo si tolse la vita, nel gennaio del 2024.  Il provvedimento conferma in pieno quanto emerso sin dalle prime fasi delle indagini: si è trattato di un femminicidio consumato all’interno delle mura domestiche.

Questa attività investigativa ci restituisce un quadro chiaro: Annalisa Rizzo è stata colpita con dieci fendenti, uno dei quali, mortale, ha reciso la carotide provocandole un’asfissia da violenza eterodiretta. L’aggressione è stata compiuta dal marito, Vincenzo Carnicelli, che poi ha compiuto un gesto anticonservativo, togliendosi la vita con un taglierino, recidendosi la stessa arteria. È emerso anche un lasso temporale di circa un’ora tra la morte della donna e quella dell’uomo, che si è infine adagiato accanto al corpo della moglie. Questa è, oggi, la verità storica” precisa l’avvocato della famiglia Rizzo a Stile Tv, Leopoldo Catena.

Questa è una storia di femminicidio, ma non è stata trattata fino in fondo come tale. Si è parlato poco di femminicidio, nonostante vi fossero tutti gli elementi per definirlo in questo modo. - rincara la dose Catena - Parliamo di una donna piena di vita, che desiderava realizzarsi sul piano personale, lavorativo ed economico. Di fronte a questa crescita, c’era un uomo frustrato, irrealizzato, incapace di accettare il cambiamento e il successo della compagna. E allora, in mancanza di altri strumenti, è caduto nel linguaggio più torbido: quello della violenza. Segnali che, purtroppo, spesso non vengono colti in tempo. Ma è proprio quando una persona non riesce a tollerare la felicità, la libertà e l’autonomia dell’altra che si manifestano forme di prevaricazione, arroganza e sopraffazione. Questi sono i segnali da intercettare prima che la violenza esploda in modo irreparabile. Noi avvocati siamo sì giuristi, ma anche intellettuali. Abbiamo il dovere di contribuire alla crescita della società civile. Per questo rivolgo un appello alla comunità di Agropoli: cogliete i segnali della violenza. Facciamolo anche attraverso un segno tangibile, affinché il sacrificio di Annalisa non venga dimenticato. Un fiocco, una panchina rossa, un evento pubblico: qualcosa che lasci traccia di questa tragedia, come accade in tante altre città italiane. Non permettiamo che questo femminicidio passi sotto silenzio. Diamo un segnale forte, uno stigma che abbia il colore del sangue, sì, ma che serva da monito per prevenire altri drammi simili”.

A poco più di un anno da quel dramma familiare, infatti, il decreto mette fine alla fase giudiziaria, ma riapre con forza la riflessione pubblica. A farlo, con parole forti e cariche di dolore, sono i familiari  di Annalisa, che per la prima volta decidono di esporsi con una lettera aperta per denunciare il vuoto istituzionale e chiedere azioni concrete di prevenzione e sensibilizzazione contro la violenza di genere, ringraziando per la vicinanza il vescovo della Diocesi di Vallo della Lucania Vincenzo Calvosa e il parroco don Bruno Lancuba. 

Il ricordo di Annalisa sarà eterno, sempre presente. Lo rivediamo negli occhi della figlia, mia nipote, che ormai è affidata ai miei genitori: quegli occhi luminosi non li dimenticheremo mai. Il nostro impegno, ora, è crescere bene lei, lavorare per il suo futuro - spiega a Stile Tv il fratello, Gaetano Rizzo - Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato una lettera scritta da mia madre. In essa abbiamo voluto sottolineare il silenzio assordante delle Istituzioni attorno a questo drammatico accaduto. Era giunto il momento di parlare apertamente del silenzio che ha caratterizzato l’intera vicenda, il triste destino di mia sorella, Annalisa”.

Questo è, invece, il testo completo della lettera scritto dalla madre Maria Giovanna Russo: 

Egregi Amministratori del Comune di Agropoli,

Gentili Concittadini, in particolare Donne della mia comunità, scrivo questa lettera con il cuore spezzato e l'anima ferita, dopo aver perso mia figlia, una donna di soli 43 anni, vittima di un orribile femminicidio. Non ci sono parole per descrivere il vuoto che ha lasciato nella mia vita e in quella della nostra famiglia, né per esprimere il dolore che ci accompagna ogni giorno. Ma oggi non scrivo solo per piangere la sua assenza: scrivo per denunciare il silenzio assordante che ha seguito la sua tragedia, un silenzio che, come madre, mi ferisce quasi quanto la perdita stessa. Mi rivolgo innanzitutto a voi, rappresentanti dell'amministrazione comunale. Mi sarei aspettata, in un momento così devastante, un gesto di vicinanza, un segnale che la comunità che mia figlia ha abitato e amato non l'avesse dimenticata. Una parola di cordoglio, un'iniziativa per ricordare lei e tutte le donne vittime di violenza, un impegno concreto per prevenire altre tragedie. Invece, ho trovato solo un vuoto istituzionale, un'indifferenza che pesa come un macigno. Come madre, mi chiedo: è questo il valore che attribuite alla vita di una donna? È questo il modo in cui proteggete la memoria di chi è stato strappato alla vita con tanta brutalità?

Ma il mio dissenso non si ferma qui. Mi rivolgo anche a voi, abitanti di questa comunità, ogni volta in cui una donna viene uccisa non è solo una tragedia personale, ma una ferita per tutta la società. L'indifferenza e il distacco contribuiscono a lasciare che questa violenza continui a prosperare in una cultura che troppo spesso giustifica, minimizza o ignora.

L'82% dei femminicidi avviene in contesti familiari o affettivi, spesso per mano di chi ti diceva di amare. Non è un raptus, non è un'eccezione: è il frutto di una cultura che dobbiamo cambiare insieme, smettendo di pensare che "se l'è cercata".

Mi ferisce profondamente il pensiero che, in un'epoca in cui si parla tanto di sorellanza e di lotta contro la violenza di genere, il mio lutto sia stato accolto con così poca empatia. La perdita di mia figlia non è solo la mia perdita: è una ferita per tutte noi, per ogni donna che vive nella paura, per ogni madre che trema al pensiero di non poter proteggere i propri figli.

Non scrivo per accusare, ma per implorare un cambiamento. La morte di mia figlia non può essere solo un'altra statistica, un altro nome dimenticato. Chiedo all'amministrazione comunale di agire: promuovete iniziative di sensibilizzazione, create spazi sicuri per le donne, investite in politiche che prevengano la violenza di genere. Non lasciate che altre madri vivano il mio stesso inferno. E a voi, donne della mia comunità, vi chiedo di essere presenti, vi chiedo di non voltare più lo sguardo. Siate unite, siate la voce di chi non può più parlare, non lasciate che il prossimo femminicidio sia accolto nuovamente dal silenzio!

Mia figlia meritava di vivere”.



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