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Borsa, crollo Ferrari. De Rosa (Smet): "Il mito non basta più quando parla di elettrico"
Comunicato Stampa
10 ottobre 2025 08:33
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SALERNO. Ferrari crolla in Borsa. Il mito non basta più quando parla di elettrico. L’Europa continua a inseguire un’ideologia che distrugge la ragione industriale: secondo il noto imprenditore salernitano e CEO del Gruppo Smet, il  cav. Domenico De Rosa, anche un marchio leggendario come Ferrari subisce un tracollo di oltre il 15% in un solo giorno.

Che cosa significa questo segnale? “È un fatto simbolico e insieme drammatico. Quando anche Ferrari, sinonimo di esclusività, ingegneria e passione meccanica, perde la fiducia dei mercati nel momento in cui parla di elettrico, significa che qualcosa di profondo non funziona. La Borsa non punisce il Cavallino per un errore tecnico, ma per un errore di visione. Il mercato non crede a un futuro fatto solo di batterie, divieti e regolamenti calati dall’alto. È la conferma che l’ideologia “verde” imposta da Bruxelles sta travolgendo persino i marchi che hanno costruito l’anima industriale dell’Europa”.

Lei parla spesso di ideologia europea. In che senso questa crisi riflette una politica sbagliata? “Perché l’Europa ha sostituito la strategia con la fede. Ha abbandonato la tecnologia e l’economia per abbracciare un dogma: quello della decarbonizzazione totale, che oggi appare scollegato dalla realtà industriale e sociale. Il divieto del 2035 resta confermato nonostante le pressioni congiunte di Italia e Germania. È come se Bruxelles non ascoltasse più le sue fabbriche, le sue maestranze, le sue catene di fornitura. Invece di favorire la neutralità tecnologica, che è il vero motore dell’innovazione, si impone un’unica strada e si distrugge la libertà di ricerca. Il risultato è davanti a tutti. Se crolla Ferrari, crolla un simbolo della fiducia nel modello europeo”.

Eppure Ferrari ha sempre rappresentato il punto più alto del lusso e della tecnologia. Come spiega questa disconnessione tra un marchio così forte e la diffidenza del mercato? “Ferrari non è un’azienda come le altre, è un mito. Ma i miti vivono di coerenza e di autenticità. Quando Ferrari annuncia un futuro elettrico, il mercato non vede un atto di coraggio, bensì un tradimento della propria natura. Perché l’essenza di Maranello non è la batteria, è il suono, è la meccanica, è la fusione di arte e ingegneria. Trasformare questa alchimia in un algoritmo è un rischio che neppure un marchio immortale può permettersi. Il capitale finanziario sente che si sta forzando un equilibrio millenario e reagisce”.

Qual è, secondo lei, la lezione che questo episodio lascia al mondo industriale europeo? “Che la transizione ecologica non può essere un processo di imposizione, ma di evoluzione. Le imprese devono essere accompagnate, non costrette. Il caso Ferrari dimostra che anche l’eccellenza più assoluta può vacillare di fronte a un piano politico miope. Il crollo in Borsa non è un fallimento di Ferrari, ma un fallimento dell’Europa che continua a confondere la sostenibilità con la punizione dell’industria. Serve tornare al pragmatismo, alla libertà tecnologica e alla fiducia nelle nostre competenze”.

Molti temono che l’Italia perda definitivamente la sua sovranità industriale. È un rischio reale? “È già in corso. Ogni volta che accettiamo passivamente regole decise altrove, rinunciamo a un pezzo del nostro futuro. L’Italia è un Paese che ha costruito marchi leggendari, motori, design, manifattura, ma oggi si trova a dover chiedere il permesso per produrre un’auto a benzina. È una deriva culturale, prima ancora che economica. E se persino Ferrari, con il suo prestigio mondiale, è costretta a rincorrere una narrativa politica, allora vuol dire che l’Europa ha smarrito il senso stesso della libertà industriale”.



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