“Le Banche sono il potere più grande e più impunito del nostro tempo”. Così scrive Elio Lannutti, giornalista, nel suo libro BANKSTER, dando voce all’argomento più gettonato di questo ultimo periodo. Ora, non per fare l’avvocato del diavolo, ma molti dettagli che riguardano il cosiddetto potere supremo delle banche, mi lasciano perplessa. Anche le banche sono imprese e come tutte le imprese vivono la crisi. Hanno anche oneri e non solo onori. Soffermiamoci, ad esempio, su un argomento che continua a tormentare le banche: l’ANATOCISMO. Il divieto dell’anatocismo è sempre esistito nel nostro Ordinamento Giuridico in virtù dell’art. 1283 Codice Civile. Tuttavia le banche agivano legittimamente quando applicavano questa metodologia di calcolo degli interessi sui conti correnti, poiché tale comportamento consuetudinario era stato ampiamente avallato dalla giurisprudenza. Inoltre l’art. 25 de D.lgs n. 342/99 comma 2 introduceva un nuovo comma all’ art. 120 del TUB, il quale prevedeva la possibilità di stabilire le modalità e i criteri di produzione degli interessi sugli interessi, maturati nell’esercizio dell’attività bancaria. In sostanza, la volontà legislativa, trasfusa nel TUB, si orientava sulla legittimità del comportamento delle banche e stabiliva solo che fosse rispettata la stessa periodicità nel conteggio, sia sui saldi passivi, sia su quelli attivi. Pertanto risultava sufficiente il riconoscimento di questa reciprocità di trattamento. In questo scenario le banche non hanno fatto altro che adeguarsi alla volontà legislativa. Successivamente la Corte di cassazione con sentenza 21095/2004, culmina il processo di revisione e stabilisce l’illegittimità, anche per il passato, degli addebiti bancari per anatocismo. Attenzione! ANCHE PER IL PASSATO.
Ciò vuol dire che hanno retrodatato una sentenza all’epoca in cui, in un contesto radicalmente diverso quella prassi si era instaurata. Epoca in cui veniva pienamente presupposta la normatività di quella consuetudine e non solo dall’utenza, ma dalle banche stesse, semplici seguaci di una volontà legislativa, le quali oggi pagano scelte non certo arbitrarie, ma in qualche modo imposte dal sistema. Alla luce di quanto ho detto lascio al lettore fare le sue riflessioni. Le mie sono le seguenti: oggi è reiterata la convinzione che il contraente più debole, ossia il cliente, sia nelle mani della banca, considerata parte forte, la quale utilizza una sperequazione di trattamento in danno della controparte. Tale assunto, però, paradossalmente non viene ribaltato quando il cliente sfugge alla restituzione di ciò che ha avuto in prestito, nascondendosi dietro un patrimonio fantasma, che però, guarda caso, al momento della richiesta esisteva veramente e pertanto appariva meritevole di credito. In questi casi chi difende la banca? Come si tutela un contraente considerato da tutti “forte”? la banca non solo perde gli interessi, ossia il prezzo del prestito, ma in molti casi perde anche l’oggetto stesso del prestito, ossia la sorta capitale. E allora, perché non ci battiamo per cambiare la legge sul recupero credito, che gioverebbe tutti, imprese e privati, piuttosto che fare la guerra alle banche? Inoltre, non è da sottovalutare la diversità sostanziale e non certo apparente delle Banche più piccole come le Banche di Credito Cooperativo, che troppo spesso vengono sottovalutate e che fanno realmente la differenza, poiché, nonostante il periodo sia difficile anche per loro, restano aperte alle richieste, alle aspettative e ai bisogni dei risparmiatori e degli imprenditori.
Avv. Laura Lippiello (nella foto)
U.P.C. Bcc di Aquara