Si applicano le circostanze aggravanti dei motivi abietti e della minorata difesa nei confronti di chi, fingendosi “mago”, commetta il reato di truffa o di violenza sessuale approfittando dello stato di inferiorità psichica delle vittime.
Lo ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 5171 del 4 febbraio 2015, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Milano, che aveva fondato la sua pronuncia sulle dichiarazioni delle persone offese riscontrate soprattutto attraverso intercettazioni telefoniche ed appostamenti.
Il presunto mago, “facendo leva su ignoranza e superstizione, ma soprattutto su condizioni di estrema debolezza psicologica” delle sue vittime, aveva indotto le stesse a sottoporsi a riti propiziatori o volti ad allontanare il malocchio, nonché a prestarsi a pratiche sessuali, spingendole “ad affidarsi sempre di più a lui nella speranza di trovare un sollievo”.
Nel dettaglio, la Suprema Corte ha precisato come per motivo abietto si debba intendere quello “turpe, ignobile, che rivela nell’agente un grado tale di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità, nonché quello spregevole o vile, che provoca repulsione”. Motivo abietto riscontrato, nel caso di specie, nel fatto che il “mago” si era “profittato con notevole meschinità e turpitudine dello stato di disperazione altrui”.
La minorata difesa, secondo la Corte, si applica quale “infermità psichica”, e non nella veste di “perdurante e totale obnulimento delle facoltà mentali”, poiché “il controllo assunto dal truffatore restava comunque circoscritto all’occulto, ma non si estendeva al punto da annientare del tutto la personalità della preda”.