CAPACCIO. Si è conclusa la vicenda, che prese il via nel 2006, nota ai più con l’appellativo di “bufala connection”. A indagare in merito il Gico della Guardia di Finanza e i Nas dei Carabinieri su richiesta dei pm antimafia: si ventilava l’ipotesi di “Agricamorra”. Ventitré erano stati gli arrestati, accusati di reati che andavano dall’associazione a delinquere all’usura, alla concussione, estorsione, falso. In sostanza, si era partiti dalle difficoltà economiche di alcuni allevatori per infiltrare le organizzazioni malavitose nel settore bufalino entrando nella proprietà di alcuni caseifici come già era accaduto per quello del pomodoro. A contribuire a quello che sembrava un progetto studiato nei minimi particolari anche l’emergenza brucellosi, sulla scia di un fenomeno amplificato all’eccesso e di un’emergenza gestita male: negato agli allevatori il doppio controllo per verificare l’effettivo contagio. Di qui l’enorme numero dei capi abbattuti. Intento primario ventilato lucrare, ottenere i rimborsi regionali e, allo stesso tempo, operare su un fronte parallelo cercando di assicurarsi il controllo del settore della raccolta e stoccaggio del latte. E così ad alcuni allevatori vennero sbarrate le porte dei caseifici che finivano col non ritirarne il latte. Un crescendo di difficoltà economiche dovuto anche all’aumento dei costi di produzione che veniva, però arginato grazie al provvidenziale intervento di qualcuno disposto a comprare il prodotto: bastava sapersi accontentare. Questo il meccanismo. Bassissimi i margini di ricavo. E intanto c’era anche chi progettava la realizzazione di un centro per la raccolta e lo stoccaggio del latte di bufala. A fronte del già esistente monopolio del foraggio e della paglia si voleva introdurre anche il monopolio sul latte bufalino. Oltre 20 le persone implicate, molti delle quali originarie della Piana del Sele.
A cinque anni di distanza, si è chiuso il processo in primo grado: assoluzione piena per i medici ei responsabili del servizio veterinario dell’Asl, tra i quali figurava anche il capaccese Domenico Nese. Quattro le condanne emesse dalla prima sezione penale, con pene blande e condonate; undici le assoluzioni. Contro gli otto restanti imputati, negli anni scorsi, si era proceduto con rito abbreviato su esplicita richiesta degli stessi e, in alcuni casi, il procedimento si era concluso con un patteggiamento.
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