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Comitato Pro Capaccio Paestum: "Ben venga Puc partecipato, purché sia anche ragionato"
Comunicato Stampa
15 novembre 2017 15:29
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CAPACCIO PAESTUM. Riceviamo e pubblichiamo, integralmente, la seguente nota stampa diffusa dal Comitato Popolare Pro Capaccio Paestum, a firma del portavoce Oscar Nicodemo:
Il Piano Urbanistico Comunale è, senza dubbio, lo strumento ideale e pratico attraverso il quale un territorio traccia il suo futuro, esaltando la propria identità culturale ed evitando di emulare realtà diverse, credute moderne e funzionali a una società evoluta. Esso, costituisce, in sostanza, non solo il mezzo fondamentale per avviare e rilanciare l’economia locale e rafforzare la rete delle relazioni sociali, ma, al contempo, rappresenta l’indice più genuino per qualificare il gusto, il senso estetico e la valenza etica di una collettività. Ecco, perché, dovrebbe essere redatto, necessariamente, da menti elevate e colte, oltre che incondizionatamente creative. E, non sarebbe affatto una cosa buona e giusta se lo studio di un tale disegno fosse affidato esclusivamente a un gruppo di tecnici, sia pure competenti e preparati, considerata la forte componente umanistica che un lavoro del genere contempla. L’estensione di un PUC, da preferirsi ragionato e non “partecipato”, dovrebbe, in ogni caso, avvalersi anche del pensiero di sociologi, psicologi, storici e finanche filosofi. Sono certo che una tale esigenza, di ordine meramente culturale, stia alla base dell’azione dall’Amministrazione di Capaccio Paestum, impegnata a dare corso all’elaborazione di un Piano che dovrà interpretare i bisogni e le vocazioni di un meraviglioso quanto complesso assetto territoriale.
Per ciò che mi compete, in veste di titolare di questo osservatorio, lontano dal vestire impropriamente i panni dell’esperto urbanista, credo che l’unica idea possibile di un PUC per Capaccio Paestum possa e debba maturare esclusivamente mediante uno studio attento e scrupoloso della disomogeneità strutturale del suo territorio. In questo senso, la lettura utile e di grande qualità, punto irrinunciabile di riferimento per le mie osservazioni, è “Paestum” (Dalla palude alla città nuova), edizione del 2014, il cui autore è Paolo Paolino, conoscitore eccelso della storia politica e sociale del nostro comune. Si tratta di un elaborato magnificamente divulgativo, una produzione propedeutica a qualsiasi studio programmatico inerente al territorio, un trattato fertilissimo di considerazioni lucide e virtuose, da cui attingere per avere una visione lungimirante, realistica, favorevole ai fini di una seria e vantaggiosa analisi dei nostri luoghi.
In quelle pagine, Paolino individua il nucleo ideativo intorno al quale muoversi per dare l’aspetto più dignitoso possibile all’intero territorio comunale. Così, Capaccio Scalo, baricentro dell’area comunale e maggiore centro di servizi, attualmente da considerarsi come una periferia di una città che non c’è, è pensata come un autentico centro urbano e cittadino, promuovendo tipologie di sviluppo vivibili, oltre che moderne. La spinta speculativa, in questo concetto, non trova approdo. L’edilizia sociale, il polo scolastico, la viabilità, i parcheggi, i parchi urbani tornano al centro dell’attenzione pubblica, in una visione d’insieme che ridimensiona ogni tentativo di dare luogo a interessi che non siano collettivi. Il Capoluogo, oggi, svuotato dei ruoli gli competono, è visto come una risorsa storica sintomatica e produttiva. Provvedere al suo arredo urbano e recuperane il patrimonio storico vuol dire rilanciarla come centro di residenza turistica non indifferente, nell’ambito di un turismo ambientale che rispetta appieno i valori dell’ecocompatibilità. Mentre, Paestum, nella sua chiarissima importanza storica e architettonica costituisce l’elemento trainante per avviare una nuova fase di riqualificazione urbana dei suoi dintorni e dell’intera fascia costiera, per dare vita a una possibile “Città del mare”, capace di integrare il tessuto urbano e territoriale dalla foce del Sele a quella del Solofrone, nel rispetto della diversità morfologica dei luoghi, ma, eliminando le differenze strutturali che portano a considerare una zona maggiormente fruibile rispetto all’altra.
Va da sé, che in questo contesto ideologico, ogni borgata del Comune, nella cura delle sue peculiarità e nel mantenimento della sua natura, assurge a modello di entità territoriale, nell’ambito di un’identità comunale compattata da una visione armoniosa. Affinché una borgata continui a dare testimonianza della sua caratterizzante presenza urbana bisogna conservarne le tracce di memoria, evitando di attentare alla storia stessa da cui essa prende origine. Ecco, per sommi capi, la linea di pensiero per l’elaborazione del PUC, che ho tratto dalla fatica letteraria di Paolo. Naturalmente, spero risulti apprezzabile, nonostante non abbia fornito delle particolarità specifiche, una progettualità dettagliata e ogni sorta di sottigliezza stilistica di ordine ingegneristico, che certamente non sono alla mia portata. I latini dicevano: “Sutor, ne ultra crepidam”, che si può tradurre con “Ciabattino, non andare oltre la suola”. E, io, mi sono attenuto alla massima.



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