Le coste della Campania sono a rischio tsunami, comprese quelle del Cilento, della Piana del Sele e del Golfo di Policastro. Ad annunciarlo è stato il prof. Enzo Boschi, presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia nonché uno dei massimi esperti al mondo, a margine dei risultati delle ultime ricerche compiute sul Marsili, il più grande vulcano d’Europa, sommerso a 150 chilometri dalle coste campane e “sorvegliato speciale” dagli studiosi, insieme al Vesuvio e all’Etna. “Potrebbe succedere anche domani - ha affermato Boschi - le ultime ricerche mostrano che il cono del vulcano non è robusto e le sue pareti sono fragili. Inoltre, abbiamo misurato la camera di magma che si è formata negli ultimi anni, che ha raggiunto dimensioni ragguardevoli. Questo significa che il vulcano è attivo e potrebbe eruttare all’improvviso”. Il Marsili si erge per 3mila metri dal fondale marino, mentre il suo cratere è a 450 metri dalla superficie del mare: imponente anche la sua struttura, lunga 70 km e larga 30, secondo le recenti rilevazioni degli scandagli. Intorno al vulcano, si sono osservate diverse emissioni idrotermali con una frequenza ultimamente elevata, e proprio queste, unite alla debole struttura delle pareti, potrebbero causare crolli anche più pericolosi di una eventuale eruzione. Due rilevazioni significative, seppur contenute, che hanno allarmato gli studiosi: “La caduta rapida di una notevole massa di materiale - spiega Boschi - scatenerebbe un potente tsunami che investirebbe le coste della Campania, della Calabria e della Sicilia, provocando disastri”. I dati forniti dalle strumentazioni, in pratica, descrivono come una “pentola bollente dal coperchio tappato” la camera di magma incandescente che si è formata e che oggi raggiunge le dimensioni di 4 km per 2. Non si sa con esattezza quando sia avvenuta l’ultima eruzione del Marsili: le sue fumarole furono riprese, nel 1990, da un video-robot di ricercatori americani. Ma i “segnali” emessi dal vulcano sottomarino hanno indotto gli esperti a tenerlo sotto osservazione, e l’ultima campagna iniziata lo scorso mese di febbraio con la nave oceanografica “Urani”a del Cnr, ha destato preoccupazione. Le frane rilevate indicano una instabilità impossibile da ignorare: “Il cedimento delle pareti — conclude Boschi — muoverebbe milioni di metri cubi di materiale, e ciò genererebbe un’onda anomala di grande potenza. I dati raccolti ora sono precisi, ma è impossibile fare previsioni. Il rischio è reale e di difficile valutazione. Sarebbe necessario un sistema continuo di monitoraggio, ma è costoso e complesso da realizzare”. L’Etna ed il Vesuvio, in questi anni, sono stati costellati da rilevatori in grado di “avvisare” se c’è il rischio di un’eruzione, almeno con un certo margine di preavviso. Il Marsili, invece, è sommerso nel mar Tirreno (esattamente 150 km a sud del Golfo di Napoli) e quindi privo di sonde pronte ad “ascoltare” i suoi eventuali brontolii: bisognerebbe installare una rete di sismometri attorno al cono vulcanico collegati a terra ad un centro di sorveglianza, progetto finora ignorato dallo Stato e dalle regioni a rischio. Per quanto riguarda le coste cilentane e sapresi, va ricordato che non meno pericoloso è considerato anche un altro vulcano sommerso della cintura Tirrenica, ovvero il Palinuro, la cui origine risale a meno di due milioni di anni fa. La pericolosità di questi vulcani è legata al fatto che possono essere definiti una vera e propria “cintura di fuoco” immersa negli abissi, formata dal Marsili, il Valinov, il Palinuro ed i vulcani delle Eolie. Il loro risveglio potrebbe essere drammatico per i paesi costieri della Calabria, della Campania e della Basilicata.
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